La violenza è un componente della nostra vita quotidiana, appena giriamo canale su un qualsiasi telegiornale o talk show subito sentiamo notizie su episodi di violenza, omicidi, suicidi, violenze sulle donne e sui bambini. Non avreste voglia di zittire tutto? Ma spesso, come se fossero episodi di una fiction o il trailer di un film che sembra avvincente, apriamo il maledetto apparecchio proprio per sapere la sorte degli indagati, le novità dell’indagine e l’opinione pubblica è già giudice degli accusati, dando al bar o nelle chiacchiere quotidiane giudizi e già la sentenza … visto che i tribunali sono lenti. Il teatro quindi, ancora una volta ha tratto spunto dalla realtà spesso più crudele e irreale di una sceneggiatura per portare le varie versioni dei fatti dei protagonisti che hanno sconvolto un Paese intero.
Una vicenda che effettivamente ricordavo, ma che molti spettatori fortunatamente no, che vede protagonisti una coppia di gente umile, composta da un uomo semplice, semplicissimo che lavora per sostenere la famiglia e della donna della quale è innamorato e perdona i tentativi di fuga lavorando, immergendosi in questo per non vedere l’infelicità, magari convinto che la nascita di una figlia possa fare la differenza! Scappati dal sud per arrivare in una cittadina del centro nord Italia per uscire dalla mentalità maligna di un paese, da un passato coniugale già pesante. Ma in questa vicenda c’è anche l’altro, il datore di lavoro del povero lui che sovraccarica il dipendente pur di fare i suoi comodi, ma non solo con la moglie.
La parte difficile da descrivere è questa, non è la moglie l’oggetto del suo desiderio e delle sue attenzioni, è una povera bambina innocente che ancora non ha il corpo adatto a questo interesse.
Sul palco assistiamo all’avvicendarsi di cinque personaggi che alla fine sono tutti negativi, animati da passioni e piccolezze, caratteristiche dell’animo umano… una donna che si illude di aver trovato un uomo che la ama, scontenta del marito e scontenta e distratta dal suo ruolo di madre, un padre pauroso di affrontare la realtà, che probabilmente accettava rendendosi stupido, per non perdere quella che comunque è la madre di sua figlia, una cosa sua, per mantenere probabilmente anche un lavoro. La sorellastra/cognata gelosa della famiglia, gelosa del fratello, personaggio subdolo che tira il sasso e nasconde la mano. La madre della protagonista che anche davanti all’evidenza difende il suo sangue. La faccia da schiaffi di un uomo a cui saprei benissimo cosa fare … mi spiace solo per Paolo Li Volsi, bravissimo attore che sul palco ho odiato follemente! Insomma lui interpretava la parte del tipico Orco, folle di amore per se stesso che nel compiacersi non si tira indietro neanche agli atti più turpi, non si scomponeva mai! Altro personaggio davvero inquietante è la vicina di casa, tipica impicciona, che mette davanti al viso la maschera della perfezione, che sa benissimo giudicare ma non fa nulla per evitare simili avvenimenti, la spiona che abbiamo tutti davanti alla nostra finestra, che arriva a conoscere ogni nostro minimo spostamento… La madre, vittima e carnefice della sua solitudine, dell’educazione fatta più di schiaffi che di favole, alla ricerca dell’amore, un sentimento che cerca di possedere ad ogni costo, anche sacrificando quello che per una donna dovrebbe essere la cosa più preziosa.
Ma oltre la storia, quali sono gli elementi che Tindato Granata porta sul palco insieme ad altri attori, che creano un cast di spicco?! Ce lo racconta dopo. Sicuramente la volontà di ritornare a parlare di pedofilia come già aveva fatto in antropolaroid, ma con un testo che vede il tema, non certo facile, al centro dell’attenzione. Ma anche parlare della solitudine, che colpisce ognuno di noi e che nei casi più estremi ci fa compiere atti veramente terribili. Naturalmente nel testo di Tindaro una parte romanzata si inserisce nella dura realtà, carpendo frasi e bassezze, sicuramente meno gravi, dalle voci che ascolta nell’affollata metropolitana milanese in cui migliaia di storie si mescolano. Usando cliché della nostra società, il sempre difficile rapporto con cognate e altri familiari, il fatto di averle portate in scena in una veste familiare evidenzia di più la loro mostruosità.
Le domande del pubblico vertono su alcune scelte che Tindaro compie: cominciando da quella iniziale che con un balzo in avanti nel tempo vede “la madre” giudicata e libera dopo gli anni scontati in prigione e in cui nonostante il tanto tempo trascorso il suo nome è ancora associato all’atrocità. Oppure al momento della lettura della sentenza in cui i due protagonisti, “marito e moglie” muovono le teste, un momento metaforico come se fossero presi a sberle dalle parole del giudice. Oppure la scelta di caratterizzare i due fratelli con accenti diversi, voluta per rendere la storia universale.
Insomma grande serata in cui mi sentivo scossa dalla presenza scenica degli attori che adesso ricorderò… e in cui ho sperimentato e cercato di dare la mia versione dei fatti
Tindaro Granata nel ruolo di Agostino Poletti, il marito
Mariangela Granelli nel ruolo di Angela Abbandono, la moglie
Paolo Li Volsi nel ruolo di Giovanni Tramonto, l’amante
Bianca Pesce nel ruolo di Anna Rosaria Grata, la nonna
Francesca Porrini nei ruoli di Francesca Poletti, la cognata e Giuseppina Lembo, l’amica
Giorgia Senesi nel ruolo di Antonietta Carbone, la vicina
Elena Arcuri voce fuori campo.
Scritto e diretto da Tindaro Granata, assistente alla regia Agostino Riola, scene e costumi Eliana Borgonovo, disegno luci Matteo Crespi, elaborazioni musicali Marcello Gori, organizzazione / distribuzione Paola Binetti, direzione artistica Proxima Res Carmelo Rifici, produzione BIBOteatro e Proxima Res